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Arrivo in Birmania | Birmania (Myanmar)

Arrivo in Birmania


Il sole é già tramontato dietro le pagode di Yangon e la città si accinge al riposo. Di fronte alla mia finestra intravedo, nell'edificio prospiciente la mia guesthouse, giovani ombre che, nella povera cucina del loro piccolo ristorante, preparano il cibo per il giorno successivo. Quando finiranno, ormai esauste, le vedrò abbandonate al sonno sopra quegli stessi tavoli trasformati in giacigli per la notte. Proprio come ieri.

Sono arrivato ieri a Rangoon.
In fase di avvicinamento al piccolo aeroporto della capitale, l'aereo si tuffò nell'oceano di nubi sottostante ed immediatamente apparve un paesaggio sconosciuto. La Birmania rivelò la propria terra fertile e generosa: migliaia di campi di riso simili a tessere di un mosaico, smussate e di varie dimensioni, i cui colori degradavano dal verde più acceso al marrone più scuro. Solo l'imponente Irrawaddy, coi sui meandri, attraversava questo immenso mosaico come una crepa nell'intonaco.
Poi la corsa in taxi fino al centro di Rangoon; le guglie dorate della Shwedagon Paya illuminate dai primi raggi di un sole tropicale. Il centro cittadino animato da piccoli negozi e case da tè, colorato dalle sete birmane in vendita e dalle bancarelle di fiori. Enormi nuvole monsoniche sovrastavano la città, pronte a riversarsi sulla terra con improvvisi e rapidi acquazzoni.

Oggi ho conosciuto don Saverio, un prete birmano che cura la piccola chiesa cattolica della capitale. Mi ha raccontato quanto la vita sia dura in questo Paese devastato da più di mezzo secolo di guerra. Si può vivere solo alla giornata, programmare il proprio futuro sarebbe inutile. Nel centro cittadino svettano due grossi grattacieli. Ma sono vuoti, incompleti e privi di vita. Monumenti tangibili alla vanità di un governo che vive ormai totalmente dissociato dalla realtà e dal proprio popolo.
Eppure i Birmani sono riusciti a conservare intatta quella innocenza d'animo e voglia di vivere che é possibile respirare in ogni angolo di Rangoon. Nonostante l'oppressione, nonostante la fame e nonostante il completo isolamento dal resto del mondo, continuano a sperare nel proprio futuro.

 

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